I decreti delegati
Gli anni 70 vedono l'affermarsi nella scuola italiana dei sindacati confederali e di vari movimenti che mettono al centro della loro azione la scuola democratica, pubblica ed il diritto allo studio. Molti aderenti a tali sindacati provengono dalle lotte del 1968 all'università. Vanno ad ingrossare una scuola fatta di pochissimi insegnanti di ruolo e moltissimi precari. I sindacati confederali gestiscono nei confronti del Ministero la richiesta di passaggio in ruolo da parte di tutti questi docenti immessi in forma provvisoria nella scuola per far fronte alla scolarizzazione di massa e qui mantenuti in uno stato precario. Sono ancora questi sindacati ad ottenere i corsi delle 150 ore per gli studenti lavoratori (inizialmente del comparto metalmeccanico) nel '73.
Si inizia ad uscire dal corporativismo, inefficienza, corruzione e reazione dei sindacati autonomi (che pur restano in piedi ancora oggi come interlocutori fidabili della burocrazia ministeriale dalla quale sono ricambiati con favori) e si sgonfiano di molto le organizzazioni cattoliche degli insegnanti e dei genitori. Ma anche i sindacati confederali ebbero vari scontri con la base in quasi tutte le assemblee. Al solito, le lotte degli insegnanti nei primi anni 70, trovavano mediatori al ribasso che accettavano maggiori carichi di lavoro per il personale della scuola senza contropartite economiche con l'inesorabile avvio alla dequalificazione dell'insegnamento stesso, sempre più rifugio a basso prezzo per chi non trovava di meglio. I corsi abilitanti, istituiti nel 1971, furono un prodotto di quei tempi.
Ad ottobre del 1972 si viene a conoscere il contenuto di una legge delega, preparata dal ministro Misasi, e presentata al Parlamento dal successore Scalfaro. La legge delega riguardava, tra l'altro, lo stato giuridico degli insegnanti, un miglioramento economico e l'unificazione dei ruoli nella scuola (allora erano 3: A, B e C). Per quel che riguarda lo stato giuridico, il Parlamento dette delega al Ministro di preparare una legge in cui si fissassero le norme su: libertà d'insegnamento; attribuzioni, diritti e doveri connessi con la funzione docente direttiva e ispettiva; orario di servizio obbligatorio; prestazioni straordinarie (si prevedeva un aggravio di 29 ore per i maestri e di 22 per gli insegnanti della scuola secondaria); reclutamento; valutazione del servizio; trasferimenti; congedi, aspettative, comandi; cessazione del rapporto di lavoro; procedimenti e sanzioni disciplinari; tutela delle libertà sindacali. A fronte di ciò vi erano ridicole compensazioni salariali.
I sindacati autonomi entrarono in agitazione parlando genericamente di [6]:
ristrutturazione dei ruoli «diversa da quella prevista dalla legge e che sia più razionale e salvaguardi i diritti acquisiti»; di agganciamento alle retribuzioni delle altre categorie di dipendenti statali; chiedevano il ragguaglio della pensione al 100 per cento dello stipendio e la riduzione a 35 anni di servizio del periodo massimo pensionabile. Richiedevano inoltre « una più sicura tutela della libertà d'insegnamento »; « la rivalutazione morale ed economica del personale direttivo e docente » e la « tutela della dignità personale e dell'effettiva libertà dei diirigenti e docenti attraverso una diversa struttura democratica degli organi collegiali ».
A parte la richiesta di miglioramenti economici superiori a quelli concessi, gli altri punti della piattaforma risultavano generici e contraddittori.
I sindacati confederali, oltre a richiedere miglioramenti economici, contestavano la visione democristiana della libertà d'insegnamento (si diceva: nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni, qual'era tale coscienza in una società stratificata ? quella della Chiesa ? quella degli abbienti ? quella dei lavoratori ? ...), l'insufficiente chiarezza nell'unificazione dei ruoli e chiedevano [6]:
- un primo livello intermedio di unificazione dei ruoli (abolizione del ruolo C; in attesa di equiparazione tra A e B dopo l'equiparazione dei titoli di studio);
- per tutti un livello o un corso di specializzazione post-laurea con conseguente eliminazione degli esami abilitanti e dei concorsi a cattedra;
- aumenti inversamente proporzionali agli stipendi in godimento, in maniera da ridurre le differenziazioni salariali e muoversi così nella direzione della unificazione dei ruoli;
- l'elettività dei presidi (con funzioni di coordinamento e di animazione, trasferendo i loro poteri agli organi collegiali) e l'abolizione dei ruoli direttivi e ispettivi in coerenza con la gestione sociale della scuola;
- l'abolizione di ogni forma di valutazione (le famigerate note di qualifica) e di controllo burocratico sul lavoro scolastico con l'introduzione dell'autonomia nella definizione collettiva (insegnanti e studenti nella scuola secondaria di secondo grado) dei piani di lavoro da discutere e verificare negli organi collegiali;
- la pubblicazione di tutti gli atti della scuola e l'abolizione del segreto d'ufficio con conseguente diritto del dipendente di discutere all'interno e all'esterno della scuola l'attività e le decisioni che riguardano la vita scolastica;
- la definizione tassativa ed esplicita dei doveri del personale in modo da limitare il potere discrezionale dell'amministrazione evitando cosi comportamenti discriminatori;
- il diritto alla difesa e alla tutela sindacale a tutti i livelli col riconoscimento dell'applicabilità dello Statuto dei lavoratori;
- l'assemblea in orario di servizio aperta agli studenti, alle famiglie, ai lavoratori, ai rappresentanti dei sindacati;
- l'abolizione della normativa fascista sulle sanzioni disciplinari;
- l'effettiva democrazia nella composizione degli organi collegiali con partecipazione a tutti i livelli delle forze sociali e possibilità d'intervento autonomo del sindacato per il confronto e la verifica su tutta l'attività degli organismi scolastici.
Vi furono scioperi importanti, anche generali (12 gennaio 1973), sostenuti dall'intero sindacato confederale con il tema del diritto allo studio. E davvero, più volte, si paralizzò il Paese. Il governo reagì concedendo nelle trattative gli aumenti salariali che acquietavano i sindacati autonomi, con la solita tattica del dividere il fronte avversario. Alcune votazioni sulla legge delega videro il MSI a sostegno del governo che comunque fu più volte battuto. Alla fine passò la legge delega ma con due qualificanti (per il governo) motivazioni bocciate: trattamento economico ed organi collegiali. Si aprì una trattativa tra governo e vertici confederali che arrivò ad un accordo il 17 maggio 1973. Le assemblee di base, pur con moltissimi dissensi e poteste, votarono a favore dell'accordo.
La valutazione complessivamente positiva derivava dal fatto che l'accordo contemplava (peraltro en passant) gli aspetti sociali che toccavano gli interessi di tutti i lavoratori e dei loro figli, come il diritto allo studio e l'edilizia scolastica; riconosceva il diritto alla contrattazione triennale e stabiliva la immissione in ruolo degli abilitati con incarico a tempo indeterminato. Sul significato politico dell'assegno perequativo si registrava una grande confusione d'idee. Pochi, in effetti, compresero che l'assegno non andava nella direzione dell'unificazione dei ruoli e della restrizione del ventaglio salariale. Contava molto ancora, per la massa dei lavoratori della scuola, il fatto di avere ottenuto un aumento superiore a quello proposto dal governo.
L'altro aspetto fondamentale della trattativa riguardante gli organi collegiali appariva assai mortificato nonostante l'introduzione del Consiglio di distretto al posto del Consiglio regionale previsto dal progetto Scalfaro. Presidi, provveditori, ministro rimangono a capo degli esecutivi. Gli organi deliberativi (Consiglio di scuola, d'istituto o di circolo; Consiglio di distretto; Consiglio provinciale e nazionale) sono privi di poteri decisionali.
La rappresentanza dei sindacati negli organi collegiali viene riconosciuta solo a livello di distretto mentre viene esclusa, insieme a quella degli Enti locali, nei Consigli di circolo e d'istituto. In questo caso si verifica addirittura un arretramento rispetto al disegno di legge bocciato al Senato dalle sinistre che non volevano concedere in questa materia la delega al governo. Comunque, gli ampi margini di manovra, lasciati al governo in questo campo, hanno messo seriamente in dubbio la reale volontà politica dei vertici sindacali di portare avanti la battaglia per la riforma della gestione scolastica in senso effettivamente democratico. [6]
In definitiva si era soddisfatti di aver avuto un aumento salariale, dell'abolizione delle note di qualifica, dell'immissione in ruolo per gli abilitati con incarico a tempo indeterminato.
Nel 1974 vengono approvati i cinque decreti delegati sul riordino dello stato giuridico, sugli organi collegiali, su sperimentazione e aggiornamento ecc.; decreti che, nel rispetto della legge delega approvata l'anno precedente dal Parlamento, fondano le figure giuridiche degli operatori scolastici, definendone anche i legittimi strumenti, i diritti e i doveri, le specifiche competenze all'interno di un cambiamento globale di gestione della scuola (gli organi collegiali riconoscono un ruolo imprescindibile a genitori ed alunni).
Osservo un fatto che iniziò a disamorare profondamente gli insegnanti alla scuola. A fronte di un carico di lavoro raddoppiato, i salari restavano gli stessi. Vi era un altro Decreto Delegato, quello per la parte economica: non fu mai discusso né tantomeno approvato. Si reintroducono i concorsi per le immissioni in ruolo pensandoli momentanei, fino alla riforma universitaria che doveva prevedere dei corsi speciali per chi sceglieva l'insegnamento. L'immissione in ruolo degli insegnanti viene programmata a scadenze fisse, dopo il periodo di prova. Si rinuncia a considerare gli insegnanti come altri lavoratori, per i quali si applica lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori. Si perde in conseguenza l'assemblea in orario di lavoro che deve avvenire per un massimo di 10 ore mensili fuori orario di servizio. Si creano difficoltà ad assemblee comuni con studenti e genitori anche per il fatto che gli organi collegiali funzionano in ore pomeridiane. Inizia il rosario delle infinite, estenuanti ed interminabili riunioni che occuperanno ormai tutto l'arco della giornata in assenza di programmazione di tali riunioni. Restano aperti una grande quantità di problemi [6]:
- mancanza di asili nido;
- insufficienza di scuole materne pubbliche e mantenimento, con congrui finanziamenti, degli asili gestiti da organizzazioni religiose (il 50 per cento dei bambini dai 3 ai 6 anni non frequenta la scuola materna);
- assenza di una politica democratica per l'infanzia dai 3 ai 6 anni (una scuola infantile che non sia «parcheggio» dei bambini né semplicemente preparatoria della scuola elementare, ma un momento importante dello sviluppo fisico, intellettuale e culturale dei bambini);
- mancanza di un razionale piano di sviluppo dell'edilizia scolastica che da luogo al fenomeno dei doppi e tripli turni e delle pluriclassi;
- non funzionalità degli edifici alle esigenze di movimento e di organizzazione del lavoro e dello studio;
- affollamento delle classi come fenomeno generalizzato anche nella scuola superiore;
- non gratuità dell'obbligo scolastico (libri di testo, trasporti, mense, biblioteche);
- non istituzione del tempo pieno mai preso in seria considerazione, tanto è vero che si cerca di chiudere anche i doposcuola;
- classi differenziali o cosiddette « speciali », autentici ghetti per i figli dei poveri;
- mancato prolungamento dell'obbligo fino ai sedici anni;
- non attuazione della riforma della scuola secondaria;
- mantenimento di tutte le norme fasciste sulle sanzioni disciplinari per studenti e lavoratori della scuola;
- mancata riforma delle forme di reclutamento e di aggiornamento degli insegnanti (quest'ultimo pressoché inesistente);
- mancanza di un qualsiasi programma per l'educazione permanente e per il recupero della scolarità da parte dei lavoratori;
- mancata riforma universitaria.
Ai problemi qui accennati i decreti delegati non rispondono
Roberto Renzetti http://www.fisicamente.net/