Era il 1970...
Nel 1970-71 nascevano in Italia le primissime esperienze di sperimentazione autonoma: tra queste il Liceo Unitario sperimentale di Roma (LUS), nato dalla costola di una media sperimentale montessoriana, sulla spinta dei genitori dei ragazzi di quella scuola, che volevano far continuare ai propri figli l’avventura sperimentale anche oltre l’obbligo.
Il LUS si caratterizzò da subito per la radicalità delle sue proposte, non solo nell’ambito del quadro orario e della tipologia degli insegnamenti ma anche in quello della gestione. Questo secondo aspetto fu probabilmente il più peculiare dell’esperienza: lo statuto della scuola infatti prevedeva una partecipazione alla gestione del tutto paritetica delle tre componenti, una forte socializzazione della vita scolastica (abolizione dei libri di testo individuali e costituzione di una biblioteca aperta tutto il giorno, gestita dai genitori degli alunni 2 con manuali e libri a disposizione di tutti), una piena libertà per insegnanti e studenti di intrecciare variamente orari, momenti di insegnamento comune, corsi.
Dal punto di vista metodologico il Liceo puntò fortemente sull'interdisciplinarità degli insegnamenti, programmati in modo collettivo dai docenti, che stava alla base anche di corsi monografici di durata variabile. Veniva sollecitato e valorizzato il lavoro di gruppo (allora non ancora una perniciosa moda) tra studenti anche di classi diverse. Anche la valutazione veniva espressa non tramite un voto ma attraverso una scheda valutativa, approvata alla fine dell’anno dalla stessa comunità classe.
Dal punto di vista degli ordinamenti il LUS prevedeva un biennio che conteneva una parte comune, un’area orientativa (che era sostanzialmente di approfondimento e fondata soprattutto sulle arti espressive, sullo studio dei documenti storici, sullo studio integrato di scienze e matematica) e un'area elettiva. Anche il triennio era imperniato su un’area comune, un’area di indirizzo (questa non più di approfondimento ma di orientamento) e un'area elettiva.
La gestione del LUS era paritetica (negli stessi Organi collegiali, quando questi furono varati), con l’Assemblea generale delle componenti che doveva svolgere opera di controllo (approvava lo Statuto della scuola) e di dibattito, anche attraverso l’articolazione in commissioni. Al preside veniva riconosciuto un ruolo semplicemente amministrativo.
L’aspetto radicalmente comunitario dell’esperienza del LUS fu fortificato dal suo forzato trasferimento dal 1973-74, in quanto l’edificio in cui precedentemente risiedeva risultò inagibile. Studenti, insegnanti e genitori allora occuparono un edificio abbandonato di un ente regionale nella campagna adiacente Roma iniziando da subito l’attività didattica finché, nel 1975, l’edificio fu riconosciuto sede della scuola.
Le vicende del LUS terminano rapidamente alla fine degli anni Settanta, in concordanza con l’involuzione del movimento degli studenti e con l’arrivo del mutamento politico e degli anni di piombo. Nella sua esperienza si mescolano aspetti assolutamente contradditori, tipici di quegli anni: una forte spinta ideale di mutamenti radicali insieme alla incapacità di formulare proposte in grado di generalizzare e diffondere le proprie idee (molte delle quali, specie quelle sul piano squisitamente didattico, erano estremamente interessanti).
La stessa istanza comunitaria, con fortissime valenze di autoriconoscimento, si rivelò ben presto un limite fragilissimo: prevalse rapidamente l’autoreferenzialità (con risultati a volte anche grotteschi, come nelle valutazioni collettive degli studenti) mentre le dinamiche interne entrarono in conflitto con quelle del mondo ‘esterno’, soprattutto per quel che riguarda la componente insegnanti che non poteva ignorarle. Incardinandosi in tal modo in un modello auto consistente e quindi non riformulabile non fu possibile (se non nella prassi e nella cultura dei singoli, tra cui il sottoscritto) esportare molti aspetti di questa singolare esperienza che potevano funzionare da eccellenti paradigmi didattici anche in contesti del tutto diversi.
http://www.treccani.it/scuola/dossier/2010/150anni_istruzione/turchi_box1_bufalotta.html
Il LUS si caratterizzò da subito per la radicalità delle sue proposte, non solo nell’ambito del quadro orario e della tipologia degli insegnamenti ma anche in quello della gestione. Questo secondo aspetto fu probabilmente il più peculiare dell’esperienza: lo statuto della scuola infatti prevedeva una partecipazione alla gestione del tutto paritetica delle tre componenti, una forte socializzazione della vita scolastica (abolizione dei libri di testo individuali e costituzione di una biblioteca aperta tutto il giorno, gestita dai genitori degli alunni 2 con manuali e libri a disposizione di tutti), una piena libertà per insegnanti e studenti di intrecciare variamente orari, momenti di insegnamento comune, corsi.
Dal punto di vista metodologico il Liceo puntò fortemente sull'interdisciplinarità degli insegnamenti, programmati in modo collettivo dai docenti, che stava alla base anche di corsi monografici di durata variabile. Veniva sollecitato e valorizzato il lavoro di gruppo (allora non ancora una perniciosa moda) tra studenti anche di classi diverse. Anche la valutazione veniva espressa non tramite un voto ma attraverso una scheda valutativa, approvata alla fine dell’anno dalla stessa comunità classe.
Dal punto di vista degli ordinamenti il LUS prevedeva un biennio che conteneva una parte comune, un’area orientativa (che era sostanzialmente di approfondimento e fondata soprattutto sulle arti espressive, sullo studio dei documenti storici, sullo studio integrato di scienze e matematica) e un'area elettiva. Anche il triennio era imperniato su un’area comune, un’area di indirizzo (questa non più di approfondimento ma di orientamento) e un'area elettiva.
La gestione del LUS era paritetica (negli stessi Organi collegiali, quando questi furono varati), con l’Assemblea generale delle componenti che doveva svolgere opera di controllo (approvava lo Statuto della scuola) e di dibattito, anche attraverso l’articolazione in commissioni. Al preside veniva riconosciuto un ruolo semplicemente amministrativo.
L’aspetto radicalmente comunitario dell’esperienza del LUS fu fortificato dal suo forzato trasferimento dal 1973-74, in quanto l’edificio in cui precedentemente risiedeva risultò inagibile. Studenti, insegnanti e genitori allora occuparono un edificio abbandonato di un ente regionale nella campagna adiacente Roma iniziando da subito l’attività didattica finché, nel 1975, l’edificio fu riconosciuto sede della scuola.
Le vicende del LUS terminano rapidamente alla fine degli anni Settanta, in concordanza con l’involuzione del movimento degli studenti e con l’arrivo del mutamento politico e degli anni di piombo. Nella sua esperienza si mescolano aspetti assolutamente contradditori, tipici di quegli anni: una forte spinta ideale di mutamenti radicali insieme alla incapacità di formulare proposte in grado di generalizzare e diffondere le proprie idee (molte delle quali, specie quelle sul piano squisitamente didattico, erano estremamente interessanti).
La stessa istanza comunitaria, con fortissime valenze di autoriconoscimento, si rivelò ben presto un limite fragilissimo: prevalse rapidamente l’autoreferenzialità (con risultati a volte anche grotteschi, come nelle valutazioni collettive degli studenti) mentre le dinamiche interne entrarono in conflitto con quelle del mondo ‘esterno’, soprattutto per quel che riguarda la componente insegnanti che non poteva ignorarle. Incardinandosi in tal modo in un modello auto consistente e quindi non riformulabile non fu possibile (se non nella prassi e nella cultura dei singoli, tra cui il sottoscritto) esportare molti aspetti di questa singolare esperienza che potevano funzionare da eccellenti paradigmi didattici anche in contesti del tutto diversi.
http://www.treccani.it/scuola/dossier/2010/150anni_istruzione/turchi_box1_bufalotta.html