Mica sarai borgataro
di Pasquale Mallozzi
Nel 70 un gruppo di genitori e professori di matrice montessoriana tentano di creare un liceo nuovo in alternativa a quello tradizionale, che dia più spazio alla partecipazione degli studenti, per la ricerca e la verifica di nuove metodologie didattiche e di gestione, con lo scopo di ottenere anche una maggiore crescita sociale e politica dei partecipanti. Coerentemente con la volontà politica di chi ha decretato la sperimentazione, la vita del L.U.S. (liceo unitario sperimentale, Bufalotta) è stata parecchio movimentata. Nasce in una sede provvisoria a Via Livenza, in quattro aule prestate da una scuola magistrale; nel 72 si trasferisce in una palazzina inadatta ad ospitare una scuola, in Via Panzini (Montesacro alto). Nel 73 si apre la sezione distaccata a Via India (Villaggio Olimpico) in 5 aule prestate dal Liceo Lucrezio Caro.
Il 6 Maggio 74 la sede centrale di Via Panzini è dichiarata inagibile, non si può terminare l'anno. Intanto la preside che per quattro anni aveva seguito e partecipato alla sperimentazione, veniva trasferita. Si decide di occupare una palazzina dell'IRASPS (ente regionale) al settimo chilometro di Via della Bufalotta; il tipo di organizzazione interna e di contatti con le realtà sociali, l'appoggio delle forze politiche e sindacali (circoscrizione e zona) fecero sì che la lotta fosse vincente. Durante il periodo dell'occupazione l'attività didattica non è stata interrotta, ma portata avanti autogestendola compatibilmente alle circostanze. Due anni dopo arriva un nuovo preside per gestire la normalizzazione. E' previsto anche l'allontanamento di buona parte degli insegnanti, ma il buon Guasco non se la sentì. L'epurazione però fu solo rinviata: altro giro di preside e tutti a casa. A cominciare dai tanti supplenti annuali. Il precariato intellettuale era già nato e lottava insieme a noi.
E’ la prima scelta, il prototipo della nuova scuola italiana. Il fior fiore. E lo dimostrano anche a distanza di una quarantina d’anni.
1971-72, via Livenza, due classi: una un po’ sonnolenta, bonacciona, tranquilla, con qualche variabile impazzita. L’altra piuttosto esagitata. E’ l’anno dell’ingresso in un ambiente molto “intellectually-correct” della matrice borgatara. Una miscela esplosiva: loden e tolfa vs pantaloni a mezzo culo e campana 28. Montessoriani doc e i ragazzi della Fedro con alle spalle un sano triplo turno. Comincia la vera sperimentazione: quelli dell’anno precedente hanno lo sguardo tra il disincantato e il materno. Spesso sembrano entomologi alle prese con insetti tropicali. Per molti è un trauma (io non mi sono mai ripreso…). Comunque, l’orda proletaria era più o meno composta da:
er secco
Daniele
er monchini grande
er monchini piccolo
er zelletta (in realta Vincenzo e Paolo erano una sola figura paramitologica: monchini&zelletta)
er pachito
Gianni (un po’ più defilato come provenienza borgatara)
er katanga (che però veniva da Casalotti)
Quell’anno insieme all’attività didattica irrompe l’esplosione fisico ricreativa (che si sovrappone tranquillamente a quella didattica): cess-ball (gli ampi bagni della scuola consentivano un misto tra calcio e basket: facile immaginare quale fosse il canestro) e “tiro-der-supplì”. Quest’ultimo sport nasceva dall’impossibilità di addentare prima ancora che digerire una specie di sasso che quotidianamente veniva “servito”: visto che la finestra di fronte era sempre aperta e il bel tavolo da disegno era sempre in bella mostra, venne spontaneo, naturale organizzare il tutto in forma ludico-formativa. L’unico a non capire il profondo significato didattico dell’attività era quel povero ingegnere-architetto, privo di arguzia e di acetati puliti. Quante storie per qualche supplì spiaccicato. Oltretutto rimbalzavano. Quante storie!
Gli anni, anzi i mesi, di via Livenza scorrono abbastanza tranquilli. Avevamo un piano lassù, in questo massiccio edificio umbertino, tra via Salaria e via Po. A poca distanza, villa Borghese. Dei professori, delle lezioni, ricordo poco o niente. Ricordo perfettamente i due tizi, sicuramente molto più grandi di noi che in tuta blu e pallone regolamentare (nel senso che si intravedevano storie di cuoio e di pentagoni stinti) ci aspettavano puntualmente alle 13 al parco dei Daini. Due ore di partita senza interruzioni. Tutti i giorni. Loro sempre con la stessa tuta, noi sempre con la stessa fame di pallone. D'altra parte non si mangiava: i supplì finivano sul tecnigrafo di fronte e il tempo per mangiare non c'era. C'era la partita e basta.
Ripensandoci bene c'erano anche i professori, poveretti.
Ci credevano molto. Non nella partita, nella didattica. I primi due anni erano unitari, poi si sceglieva. Non c'erano interrogazioni, libri di testo, compiti in classe. I libri erano a disposizione di tutti nella biblioteca comune. Ma non ricordo di averli mai richiesti. Di italiano c'era Patrizia da noi e Stefano di là. Stefano è un cantautore. Anzi "riveste di musica le parole dei poeti". In giro per la Rete c'è anche una sua foto abbastanza recente: non ne consiglio la visione ai nostalgici e ai minori.
Di fisica c'era sicuramente Michela e uno tra Luca e Paolo (ma potrei sbagliarmi). Luca era uno spasso, ci invitava a cena a casa sua per vedere le stelle con il suo telescopio da terrazza. Fortissimo anche il fratello, importante giornalista.
Scienze era terreno di Annamaria. Bella, alta (almeno così la ricordo) faceva biologia, ma sembravano, chissà perché sempre lezioni di educazione sessuale. Forse era solo un problema di ormoni giovanili.
Di inglese ricordo una stupenda signora d'altri tempi, traduttrice di molti testi teatrali e moglie del critico cinematografico de l'Unità.
C'era poi qualcuno che aveva a che fare con la matematica. Era anche bravo/a. Così brava/o che ricordo delle belle lezioni/chiacchierate, ma niente del suo volto.
Potenza dei numeri primi...
Nel 70 un gruppo di genitori e professori di matrice montessoriana tentano di creare un liceo nuovo in alternativa a quello tradizionale, che dia più spazio alla partecipazione degli studenti, per la ricerca e la verifica di nuove metodologie didattiche e di gestione, con lo scopo di ottenere anche una maggiore crescita sociale e politica dei partecipanti. Coerentemente con la volontà politica di chi ha decretato la sperimentazione, la vita del L.U.S. (liceo unitario sperimentale, Bufalotta) è stata parecchio movimentata. Nasce in una sede provvisoria a Via Livenza, in quattro aule prestate da una scuola magistrale; nel 72 si trasferisce in una palazzina inadatta ad ospitare una scuola, in Via Panzini (Montesacro alto). Nel 73 si apre la sezione distaccata a Via India (Villaggio Olimpico) in 5 aule prestate dal Liceo Lucrezio Caro.
Il 6 Maggio 74 la sede centrale di Via Panzini è dichiarata inagibile, non si può terminare l'anno. Intanto la preside che per quattro anni aveva seguito e partecipato alla sperimentazione, veniva trasferita. Si decide di occupare una palazzina dell'IRASPS (ente regionale) al settimo chilometro di Via della Bufalotta; il tipo di organizzazione interna e di contatti con le realtà sociali, l'appoggio delle forze politiche e sindacali (circoscrizione e zona) fecero sì che la lotta fosse vincente. Durante il periodo dell'occupazione l'attività didattica non è stata interrotta, ma portata avanti autogestendola compatibilmente alle circostanze. Due anni dopo arriva un nuovo preside per gestire la normalizzazione. E' previsto anche l'allontanamento di buona parte degli insegnanti, ma il buon Guasco non se la sentì. L'epurazione però fu solo rinviata: altro giro di preside e tutti a casa. A cominciare dai tanti supplenti annuali. Il precariato intellettuale era già nato e lottava insieme a noi.
E’ la prima scelta, il prototipo della nuova scuola italiana. Il fior fiore. E lo dimostrano anche a distanza di una quarantina d’anni.
1971-72, via Livenza, due classi: una un po’ sonnolenta, bonacciona, tranquilla, con qualche variabile impazzita. L’altra piuttosto esagitata. E’ l’anno dell’ingresso in un ambiente molto “intellectually-correct” della matrice borgatara. Una miscela esplosiva: loden e tolfa vs pantaloni a mezzo culo e campana 28. Montessoriani doc e i ragazzi della Fedro con alle spalle un sano triplo turno. Comincia la vera sperimentazione: quelli dell’anno precedente hanno lo sguardo tra il disincantato e il materno. Spesso sembrano entomologi alle prese con insetti tropicali. Per molti è un trauma (io non mi sono mai ripreso…). Comunque, l’orda proletaria era più o meno composta da:
er secco
Daniele
er monchini grande
er monchini piccolo
er zelletta (in realta Vincenzo e Paolo erano una sola figura paramitologica: monchini&zelletta)
er pachito
Gianni (un po’ più defilato come provenienza borgatara)
er katanga (che però veniva da Casalotti)
Quell’anno insieme all’attività didattica irrompe l’esplosione fisico ricreativa (che si sovrappone tranquillamente a quella didattica): cess-ball (gli ampi bagni della scuola consentivano un misto tra calcio e basket: facile immaginare quale fosse il canestro) e “tiro-der-supplì”. Quest’ultimo sport nasceva dall’impossibilità di addentare prima ancora che digerire una specie di sasso che quotidianamente veniva “servito”: visto che la finestra di fronte era sempre aperta e il bel tavolo da disegno era sempre in bella mostra, venne spontaneo, naturale organizzare il tutto in forma ludico-formativa. L’unico a non capire il profondo significato didattico dell’attività era quel povero ingegnere-architetto, privo di arguzia e di acetati puliti. Quante storie per qualche supplì spiaccicato. Oltretutto rimbalzavano. Quante storie!
Gli anni, anzi i mesi, di via Livenza scorrono abbastanza tranquilli. Avevamo un piano lassù, in questo massiccio edificio umbertino, tra via Salaria e via Po. A poca distanza, villa Borghese. Dei professori, delle lezioni, ricordo poco o niente. Ricordo perfettamente i due tizi, sicuramente molto più grandi di noi che in tuta blu e pallone regolamentare (nel senso che si intravedevano storie di cuoio e di pentagoni stinti) ci aspettavano puntualmente alle 13 al parco dei Daini. Due ore di partita senza interruzioni. Tutti i giorni. Loro sempre con la stessa tuta, noi sempre con la stessa fame di pallone. D'altra parte non si mangiava: i supplì finivano sul tecnigrafo di fronte e il tempo per mangiare non c'era. C'era la partita e basta.
Ripensandoci bene c'erano anche i professori, poveretti.
Ci credevano molto. Non nella partita, nella didattica. I primi due anni erano unitari, poi si sceglieva. Non c'erano interrogazioni, libri di testo, compiti in classe. I libri erano a disposizione di tutti nella biblioteca comune. Ma non ricordo di averli mai richiesti. Di italiano c'era Patrizia da noi e Stefano di là. Stefano è un cantautore. Anzi "riveste di musica le parole dei poeti". In giro per la Rete c'è anche una sua foto abbastanza recente: non ne consiglio la visione ai nostalgici e ai minori.
Di fisica c'era sicuramente Michela e uno tra Luca e Paolo (ma potrei sbagliarmi). Luca era uno spasso, ci invitava a cena a casa sua per vedere le stelle con il suo telescopio da terrazza. Fortissimo anche il fratello, importante giornalista.
Scienze era terreno di Annamaria. Bella, alta (almeno così la ricordo) faceva biologia, ma sembravano, chissà perché sempre lezioni di educazione sessuale. Forse era solo un problema di ormoni giovanili.
Di inglese ricordo una stupenda signora d'altri tempi, traduttrice di molti testi teatrali e moglie del critico cinematografico de l'Unità.
C'era poi qualcuno che aveva a che fare con la matematica. Era anche bravo/a. Così brava/o che ricordo delle belle lezioni/chiacchierate, ma niente del suo volto.
Potenza dei numeri primi...