Il teatro della vita
Dedicato a Meri
Da bravo borgataro non mi piaceva il teatro. E neanche la musica. Frequentavo il Liceo Sperimentale con lo spirito a metà tra Indiana Jones e Umberto D (forse non c’entra per nulla ma mi piace la citazione).
Guardavo con occhio spesso assonnato (impiegavo un paio d’ore per arrivare a scuola) quei tableaux vivants (questa la so, e mi sembra più azzeccata) che i miei compagni nelle diverse sedi inscenavano. Era una rappresentazione continua e mi sembrava normale che “loro” si appassionassero così tanto al teatro, alle sonate, a tutta una serie di cose pallosissime.
Ero però affascinato da due donne straordinarie: Meri e Vilda. Io pensavo di dover fare il bancario o l’impiegato di concetto e studiavo per questo e non immaginavo che si potessero fare lavori gratificanti, appassionati, divertenti. Pensavo che insegnare fosse solo un mestiere. Come altri. Come tanti. Non contemplavo la passione, il sorriso. E neanche l’incazzatura. Non ne valeva la pena. E invece queste due donne così diverse e così uguali volavano sulle nostre teste indicandoci un percorso gioioso. Due pifferaie. Soprattutto Meri. Vilda aveva ‘sto vocione roco che riusciva a crearti qualche imbarazzo. Meri no. Era latina dentro, naturalmente flautata. Una vera sirena. Mi lasciai trascinare. Col cavolo però che salii sul palcoscenico. Mi misi a fare il “tecnico delle luci” un sano lavoro proletario e maschio.
Armeggiando casualmente con un mare di bottoni incomprensibili tirai fuori un paio di effetti da far accapponare la pelle. Se fossero stati “voluti” avrei potuto contare su una luminosa carriera. Invece… Invece a farmi crollare ogni illusione fu la conoscenza in quel buissimo Teatro in Trastevere di un altro personaggio mitologico, Zor, Zot, boh non ricordo il nome e non so neanche se sia veramente esistito. Alto un paio di metri, capelli corvini altezza chiappa, barba da infratto, occhi luciferini, canotta d’ordinanza, il vero tecnico delle luci del teatro. M’aveva preso a benvolere e mi dava fondamentali consigli in una lingua assolutamente ignota. Dicevo sempre sì fino a quando cercò di convincermi a salire con lui, piroettando, sulle volte dell’inTrastevere per piazzare qualche maledettissimo proiettore. “Ma che sei scemo?” Finì lì la mia esperienza teatrale, anche perché la compagnia si buttò sul brechtiano spinto e di luci e scenografie non se ne parlò più. Molti anni dopo mi è ricapitato tra le mani il libro di Meri sulle sirene, non so neanche per quale motivo. So solo che ho avuto la stessa emozione di Kane con Rosabella. Una sensazione bellissima, un groppo: mi è rivenuto in mente Zot, o come diavolo si chiamava, i canti, degli altri, i vecchi compagni e quelle due straordinarie sirene… Che bella cosa lo Sperimentale, che bella Meri.
er paquito
Guardavo con occhio spesso assonnato (impiegavo un paio d’ore per arrivare a scuola) quei tableaux vivants (questa la so, e mi sembra più azzeccata) che i miei compagni nelle diverse sedi inscenavano. Era una rappresentazione continua e mi sembrava normale che “loro” si appassionassero così tanto al teatro, alle sonate, a tutta una serie di cose pallosissime.
Ero però affascinato da due donne straordinarie: Meri e Vilda. Io pensavo di dover fare il bancario o l’impiegato di concetto e studiavo per questo e non immaginavo che si potessero fare lavori gratificanti, appassionati, divertenti. Pensavo che insegnare fosse solo un mestiere. Come altri. Come tanti. Non contemplavo la passione, il sorriso. E neanche l’incazzatura. Non ne valeva la pena. E invece queste due donne così diverse e così uguali volavano sulle nostre teste indicandoci un percorso gioioso. Due pifferaie. Soprattutto Meri. Vilda aveva ‘sto vocione roco che riusciva a crearti qualche imbarazzo. Meri no. Era latina dentro, naturalmente flautata. Una vera sirena. Mi lasciai trascinare. Col cavolo però che salii sul palcoscenico. Mi misi a fare il “tecnico delle luci” un sano lavoro proletario e maschio.
Armeggiando casualmente con un mare di bottoni incomprensibili tirai fuori un paio di effetti da far accapponare la pelle. Se fossero stati “voluti” avrei potuto contare su una luminosa carriera. Invece… Invece a farmi crollare ogni illusione fu la conoscenza in quel buissimo Teatro in Trastevere di un altro personaggio mitologico, Zor, Zot, boh non ricordo il nome e non so neanche se sia veramente esistito. Alto un paio di metri, capelli corvini altezza chiappa, barba da infratto, occhi luciferini, canotta d’ordinanza, il vero tecnico delle luci del teatro. M’aveva preso a benvolere e mi dava fondamentali consigli in una lingua assolutamente ignota. Dicevo sempre sì fino a quando cercò di convincermi a salire con lui, piroettando, sulle volte dell’inTrastevere per piazzare qualche maledettissimo proiettore. “Ma che sei scemo?” Finì lì la mia esperienza teatrale, anche perché la compagnia si buttò sul brechtiano spinto e di luci e scenografie non se ne parlò più. Molti anni dopo mi è ricapitato tra le mani il libro di Meri sulle sirene, non so neanche per quale motivo. So solo che ho avuto la stessa emozione di Kane con Rosabella. Una sensazione bellissima, un groppo: mi è rivenuto in mente Zot, o come diavolo si chiamava, i canti, degli altri, i vecchi compagni e quelle due straordinarie sirene… Che bella cosa lo Sperimentale, che bella Meri.
er paquito